23 novembre 2015

Strozzamento fiscale.

La caratteristica del modello italiano di tassazione non è l’elevata pressione fiscale complessiva, ma la coesistenza di tale elevata pressione fiscale con un’elevata tassazione sui produttori di ricchezza (imprese e partita IVA) … Tale modello di tassazione ha inflitto al nostro Paese prima il rallentamento, poi il ristagno e infine il declino cui oggi assistiamo … L’interruzione della crescita comporta alcune conseguenze come il peggioramento del tenore di vita, mancanza di occasioni di lavoro per i giovani, l’indebolimento dello stato sociale … Il punto non è abbassare la pressione fiscale complessiva, perché il livello di quest’ultima dipende solo da quanto Stato sociale desideriamo e quanta inefficienza siamo disposti a tollerare. Il punto è che non possiamo permetterci la stagnazione dell’economia. E per liberarci da essa dobbiamo tornare a crescere, riducendo (di almeno 15 punti) le aliquote sui produttori. È vero, che esistono anche Paesi che crescono nonostante le alte tasse, ma nessuno di essi è riuscito a farlo senza tenere bassa, molto bassa, la pressione fiscale sui produttori di ricchezza … Fino alla fine degli anni ’80 l’aumento della pressione fiscale non produce ancora effetti drammatici sul tasso di crescita, perché ogni volta che il governo assesta uno dei suoi micidiali colpi ai contribuenti i suoi effetti sono attenuati dal meccanismo della svalutazione della lira, che permette alle imprese esportatrici di recuperare sul versante dei costi. Solo quando tale meccanismo (svalutazioni competitive) si spezza, ossia tra il 1992 (crollo della lira, manovra di 90 mila miliardi del governo Amato) e il 1995 (ultima svalutazione) che l’Italia entra in crisi … All'origine di questo rallentamento, che alla fine diventerà un vero e proprio declino, vi sono certamente anche le riforme mancate, soprattutto in tema di liberalizzazioni, mercato del lavoro, giustizia civile, burocrazia … Le imprese del Centro-Nord, che costituiscono la spina dorsale dell’apparato produttivo del Paese per diversi decenni sono state la locomotiva della crescita, si trovano sulle spalle una pressione fiscale che non riescono a reggere per due motivi: primo, per entrare nell'euro, l’Italia rinuncia alle svalutazioni competitive; secondo, perché l’economia del Centro-Nord è in gran parte regolare (o emersa) e non può quindi ricorrere all'evasione fiscale per parare il colpo dell’aumento di tasse … Dopo il 1993 sia il Nord che il Sud hanno rallentato la propria crescita, ma il Nord in modo drammatico, perché il tasso di crescita è crollato … Oggi ci sono imprese che, se le imposte societarie fossero quelle dei Paesi scandinavi, potrebbero tranquillamente continuare a operare, mentre con le nostre aliquote sono costrette a chiudere. Dunque la promessa fondamentale del federalismo fiscale (per correggere i due squilibri territoriali fondamentali del nostro Paese: un eccesso di pressione fiscale al Nord, un eccesso di spesa pubblica corrente nel Sud), che potrebbe ridare slancio alla crescita (con meno spesa pubblica, meno sprechi, meno evasione fiscale nel Mezzogiorno),  è più che mai attuale … ma i tempi di attuazione sembrano lunghissimi … Se il federalismo non può essere la medicina, senz'altro l’inseguire il pareggio di bilancio senza promuovere la crescita, costringe il Paese a sacrifici sempre più grandi, ma sempre meno efficaci … In altre parole, il timore è l’avvitamento dell’economia italiana su se stessa. Per azzerare il deficit il governo vara sempre nuove tasse che provocano solo una recessione … Nessuna manovra potrà mai consentirci di tornare a crescere, se non prevede che una parte significativa delle risorse recuperate vada a sostenere quanti cercano ancora di stare sul mercato e di produrre ricchezza.
(Luca Ricolfi --- La Repubblica delle tasse ---)

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