Il tabù della morte è
strettamente collegato al tema della divinità: se è vero, come sembra, che
siamo gli unici nel regno animale a esserci inventati delle divinità proprio
perché siamo anche gli unici a sapere di dover inevitabilmente morire. Solo
inventandoci dio potevamo sopportare meglio una simile condanna, e magari
sperare in una vita oltre la vita … Ignoro se dio esista o meno … mi accontento
di vivere come se dio non esistesse … Secondo Richard Dawkins (etologo, biologo britannico … 1941-), l’ipotesi
di dio oltre che superflua, è soprattutto dannosa: in effetti, è ormai arcinoto
che i più odiosi pregiudizi vengono molto sovente propagati dalle credenze
religiose e dalle pratiche liturgiche, come attestano gli orrori, gli eccidi,
le iniquità d’ogni sorta di cui si sono rese responsabili le istituzioni
religiose d’ogni tempo e paese … È evidente che, nel corso degli ultimi
millenni, l’umanità abbia manifestato il profondo bisogno di riferirsi a una
qualche divinità, e che la fede religiosa l’abbia potentemente sorretta nella
lotta per la sopravvivenza. Secondo Luca
Cavalli Sforza (genetista e scienziato
italiano … 1922-) se così non fosse stato, se non avesse aiutato l’umanità
a sopravvivere e a riprodursi, la religione sarebbe scomparsa da un pezzo dalla
faccia della terra … L’invenzione di dio corrisponde a una nostra esigenza
ancestrale (tuttora radicata) di comunanza
o comunione. Paura della propria solitudine o paura dell’Altro? … L’esperienza
religiosa ha la funzione di unirci, almeno idealmente, all'Altro … In biologia,
fare gruppo è una strategia adottata già dalle cellule, prima ancora che dagli
organismi viventi. Nulla è isolabile, se non in astratto, in qualsiasi ambito,
ciascun elemento è caratterizzato dal rapporto con ciò che lo attornia … La
socialità nasce da un’imperiosa esigenza per i nostri più remoti progenitori,
la vita in gruppo era il solo modo che consentisse all'individuo di
sopravvivere. Fuori dall'ambito protettivo del gruppo, la sopravvivenza era
materialmente impossibile. Ciò vale per tutte quelle specie animali che nel
corso dell’evoluzione si sono sempre caratterizzate come sociali. Nel caso
della specie umana, questa vita di gruppo ha finito per dar luogo alla cultura,
ci ha reso animali culturali e a contribuito via via a modificarci, nel
cervello e nel comportamento, fino a renderci quelli che oggi siamo … Oltre che
per una necessità di sopravvivenza, c’è un altro impulso che ci induce alla
socievolezza: la nostra è una specie in grado di amare, e soprattutto bisognosa
di amore. Questo impulso ad amare è genetico, non nasce dai rapporti con l’ambiente,
e reclama sempre uno sbocco … Sennonché la nostra condizione di animali sociali
bisognosi d’amore ci rende socialmente vulnerabili, in quanto molto esposti al
rischio di subire l’iniziativa altrui, e quindi la sua invadenza … Questo
disagio sociale si manifesta in una grande varietà di reazioni ed emozioni (insicurezza, inadeguatezza, inferiorità, evasione,
fuga, ricorso alla violenza). Se poi ogni possibilità di reagire o di
fuggire è preclusa, si somatizza lo stress (come
si diceva erroneamente una volta) con l’ipertensione o i disturbi nevrotici
… Sarebbe assurdo, però, ritenere che l’Altro venga percepito soprattutto come
una realtà minacciosa o ingombrante, perché, si è visto, è in primo luogo
oggetto di una primaria esigenza di rapporto sociale … L’altro non è tanto colui
che vedo, quanto colui che mi vede, che mi espropria della mia identità di
guardante, che mi degrada a guardato (quindi, di
desiderato, apprezzato, disprezzato, di temuto …).
(Paolo Caruso --- Vivere senza dio ---)
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